Sappiamo tutti che la pensione sarà un traguardo sempre più lontano. Ma in alcuni casi è prevista una “corsia accelerata”: ecco quando e per chi.
La pensione anticipata è, per chi è ormai in là con gli anni e ha sulle spalle una lunga carriera lavorativa, una preziosa opportunità per mettersi a riposo e godersi casa, famiglia, affetti, hobby e chi più ne ha più ne metta. Senza più il pensiero di dover timbrare il cartellino o fatturare quanto basta per far quadrare i conti a fine mese/anno. Ma in molti casi andare in pensione in anticipo non è tanto un’opzione accattivante, quanto una concreta necessità.
Nonostante la stretta sui requisiti anagrafici e contributivi prevista dalle ultime riforme in materia di pensione, è ancora possibile congedarsi dal lavoro qualche anno prima rispetto alla norma, in presenza di particolari requisiti. E in questo caso non c’è molto da festeggiare: parliamo di lavoratori affetti da patologie che di fatto impediscono il normale svolgimento di un’attività lavorativa. Vediamo come e quando lo Stato interviene per tutelare questi soggetti “fragili”.
Se le capacità lavorative di un soggetto subiscono un sensibile ridimensionamento a causa di malattie gravi/croniche, è possibile accedere a una serie di trattamenti agevolati. In particolare, l’Inps ha stilato un elenco delle patologie che permettono il pensionamento anticipato. Nella valutazione dell’istanza presentata dai lavoratori, tuttavia, oltre alla gravità della malattia e alla percentuale di invalidità che comporta, pesa la relazione diretta tra patologia e mansione svolta.
Inoltre, a parità di patologia e della sua gravità, tra uomini e donne cambia il numero di anni di anticipo pensionistico: 6 per i primi, fino a 11 per le seconde. Fermo restando che la capacità lavorativa deve essere ridotta di almeno l’80% e che occorrono almeno 20 anni di contributi già versati.
L’Inps prevede l’accesso a questo particolare “scivolo” per la pensione per tutti quei lavoratori affetti da disfunzioni cardiache, diabete mellito, malattie degenerative, sordità o cecità (completa o parziale), malattie rare, cancro, patologie renali, sindrome di down, sindrome di Patau, o che abbiano subito trapianti o amputazioni. Per i casi meno gravi, invece, lo Stato ha messo in campo altre misure: dall’APE sociale a Quota 41 a opzione donna, fino all’assegno ordinario di invalidità.
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