Sandali da trekking, non chiamiamoli ciabatte! Ecco dove, come, quando usarli

Se dovessimo stilare un elenco dei momenti più piacevoli legati a una escursione estiva in montagna, non potremmo esimerci dall’inserire in elenco l’istante in cui, terminata l’uscita, si arrivi finalmente a togliere gli scarponi dai piedi. Una sensazione di sollievo difficile da descrivere a parole. Innegabile è che, nonostante la colonnina di mercurio in quota salga meno che in pianura, nei mesi più caldi dell’anno, i piedi degli escursionisti si ritrovino a soffrire il caldo. Perché esporsi per ore a una simile sofferenza se esistono i sandali da trekking?

Sandali da trekking: istruzioni per l’uso

Ogni estate il Soccorso Alpino si impegna a diffondere le buone norme per affrontare uscite in quota in sicurezza, ribadendo a più riprese che le escursioni in ambiente montano non siano paragonabili a passeggiate urbane o periurbane. Al crescere della quota e della complessità degli itinerari cresce la necessità di una adeguata preparazione e di un idoneo equipaggiamento, categoria in cui un ruolo importante è rivestito dalle calzature.

Sandali da trekking
Immagine | Unsplash @Emma Frances Logan – Gentechevainmontagnait

Troppo spesso nei mesi più caldi dell’anno capita di imbattersi in escursionisti mal equipaggiati in tal senso, dal viandante su ghiaccio in scarpette da ginnastica al turista in infradito su sentieri a picco sul mare. Due esempi estremi e agli antipodi di un ampio ventaglio di condizioni di mal equipaggiamento riscontrabili in quota. Il consiglio degli esperti è sempre il medesimo: ricordare che in quota sia importante indossare scarponi da montagna. No alle suole lisce. No alle scarpe aperte. Ma allora perché sul mercato troviamo delle calzature ribattezzate “sandali da trekking” o “sandali da escursionismo” o “sandali tecnici”? Cerchiamo di fare chiarezza.

Il sandalo è considerato la prima tipologia di calzatura ideata dall’uomo, addirittura nel Neolitico. La ragione è semplice da intuire: proteggere il piede da urti e lesioni. Si trattava inizialmente di calzature aperte, molto spartane, realizzate senza grande attenzione a quello che oggi definiamo design. Con gli Egizi la situazione cambiò radicalmente, e si cominciò a investire sulla lavorazione dei sandali per renderli uno status symbol delle classi privilegiate. In epoca greca il loro utilizzo era diffuso in particolare nel mondo femminile. In epoca romana il sandalo, che inizialmente era considerato una scarpa da interno (un po’ come le nostre pantofole), a partire dalla salita al potere dell’imperatore Caligola, divenne di uso più comune, addirittura utilizzato in ambito militare. Nel Medioevo i sandali erano sinonimo di povertà o di rinuncia (come nel caso dei frati francescani).

Dopo un periodo di caduta in disuso, tornarono in auge nell’epoca della Rivoluzione francese, come segno di protesta contro il lusso ma fu solo a inizio XX secolo che si poté assistere alla loro entrata in scena nel mondo della moda. Nel corso di un secolo il sandalo è andato incontro a una evoluzione, da scarpa aperta, fresca nonché sensuale (grazie soprattutto all’aggiunta del tacco o della zeppa), destinata al mondo femminile, è divenuto sinonimo di calzatura comoda per tutti, e negli ultimi anni è arrivato a ottenere un proprio spazio anche nella categoria delle scarpe sportive.

Il sandalo da escursionismo rappresenta per certi versi l’apice di una piramide evolutiva e definirlo “scarpa aperta” risulterebbe limitante. A breve vedremo perché. Si tratta di calzature leggere, traspiranti, ma attentamente studiate per poter risultare comode anche su suolo diverso dall’asfalto. A differenza del modello classico, se così vogliamo definirlo, “urbano”, quello da trekking presenta delle caratteristiche tali da garantire comodità e protezione al piede nel corso di camminate off road. Quali sono tali caratteristiche?

In primo luogo una suola che, esattamente come avviene per gli scarponi da montagna, è studiata allo scopo di aumentare l’aderenza al terreno, limitando il rischio di scivolamento su suolo umido o bagnato. In sintesi, una suola con un buon grip. Sul mercato è possibile trovare oggi una ampia gamma di sandali da trekking, i più performanti sono quelli dotati di suola in Vibram. Accanto alla suola, ruolo importante è rivestito dalla intersuola, ovvero quello “strato” cui è destinato il compito di ammortizzare gli urti del piede contro il terreno in presenza di superfici sconnesse. Inoltre è presente una soletta con disegni tali da consentire al piede di rimanere aderente alla scarpa anche se sudato o umido, realizzata in un materiale di facile asciugatura.

Vi sono sandali equipaggiati anche di un cuscinetto sotto il tallone, per ammortizzare ulteriormente, così come dei rialzi laterali che aiutano a proteggere il piede da improvvisi colpi laterali (es. una spina). Ci sono sandali aperti in punta o chiusi, sandali con punta rinforzata. Altro elemento importante è rappresentato dalle cinghie (regolabili) e dalle chiusure (che possono essere con fibbia o velcro) che trattengono e stabilizzano il piede nella scarpa.

Dove usarli, dove evitarli

Se da un lato i sandali da trekking possono assicurare un grip paragonabile a uno scarpone da montagna, dall’altro presentano degli inevitabili limiti. In linea generale il consiglio è di non considerarli dei sostituti universali degli scarponi ma calzature idonee a brevi escursioni su terreno non impervio o in alternativa a lunghe passeggiate su sentieri accessibili. Un ambiente in cui è altamente sconsigliato il loro utilizzo è per certo il ghiacciaio. Qui, anche nella stagione estiva, si procede equipaggiati di ramponi. Essendo aperti o semiaperti, va da sé che siano poco adatti anche in generale a tratti innevati. Ciò non toglie che possano essere utilizzati in acqua, come premesso sono infatti realizzati in materiale a facile asciugatura.

Escursionisti nella neve
Immagine | Unsplash @Holly Mandarich – Gentechevainmontagna.it

Importante è che si tratti di passaggi brevi, per non rischiare di far raffreddare eccessivamente i piedi. A seconda degli scopi, dunque delle caratteristiche degli itinerari da affrontare, è bene considerare che più un sandalo è chiuso maggiore sarà il supporto offerto al piede, a discapito ovviamente della ventilazione e dunque anche della velocità di asciugatura. Si tratta di scarpe flessibili, il che le rende comode e adatte a terreni poco impegnativi. Per affrontare terreni impervi è necessaria una scarpa che garantisca rigidità, e che assicuri la protezione della caviglia, che in questo caso resta scoperta.

Quindi no al sandalo in caso di escursioni lunghe e su terreni impervi? La risposta non è totalmente “no”. In questi casi il sandalo può essere utile come componente dell’equipaggiamento, ma non per l’escursione in sé. Come dicevamo in apertura, il momento più bello al termine di una giornata in cammino tra le vette è quello in cui ci si libera dagli scarponi. Ecco, il sandalo può alleviare la sofferenza da scarpone: è una calzatura che ingombra poco (che dunque possiamo mettere nello zaino) che può fungere da ricambio per gli scarponi una volta arrivati su terreno facile.

Sfatiamo dunque il mito che il sandalo da trekking sia una ciabatta. Non lo è affatto. D’altro canto assicuriamoci di scegliere la tipologia di sandalo adatta al nostro obiettivo escursionistico, studiandone accuratamente le caratteristiche.

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