120.000 anni di storia delle Alpi raccontati in 2 minuti di video

I paesaggi delle Alpi si stanno modificando sotto i nostri occhi. Principali sentinelle di un cambiamento sempre più rapido sono i ghiacciai, alle prese con una evidente e incessante riduzione delle superfici occupate. Secondo le stime degli scienziati, entro il 2100 potremmo perdere, se tutto va bene, un buon 70% dei ghiacciai alpini. Se tutto va male, anche il 96%. Possiamo avere certezza che sulle Alpi non si sia già assistito in passato a qualcosa di simile? Un team di scienziati ha di recente realizzato un video che, in soli 2 minuti, ci consente di viaggiare indietro nel tempo per osservare come siano cambiati i ghiacciai alpini nel corso di 120.000 anni. E di trovare una parziale risposta a tale quesito.

Un viaggio lungo oltre 100.000 anni

Nel corso dei suoi oltre 4 miliardi e mezzo di anni di esistenza, il nostro Pianeta ha vissuto un avvicendarsi ciclico di periodi di clima rigido e meno rigido. Fasi definite “ere glaciali” in cui la temperatura media globale è diminuita, portando all’espandersi delle superfici glaciali, intervallate da “ere interglaciali”, in cui al contrario la temperatura in risalita ha portato a una progressiva riduzione dei ghiacciai.

Alpi, ghiacciai del Vallese
Immagine | Pixabay @Nico Grütter – Gentechevainmontagna.it

La durata delle ere glaciali è pari a circa 100.000 anni, i periodi interglaciali sono invece più brevi, di durata pari a circa 10.000 anni. Noi dove ci troviamo? In questo momento la Terra sta affrontando un’era interglaciale, detta Olocene, iniziata circa 11.500 anni fa. Stando alle medie appena riportate, dovremmo trovarci ormai nelle vicinanze della fine. L’Olocene è iniziata al termine della glaciazione di Wurn, che ha preso il via circa 115.000 anni fa. Quella che è anche nota come “ultima glaciazione” raggiunse il suo apice di freddo attorno a 24.000 anni fa, momento identificato come LGM (last glacial maximum, ultimo massimo glaciale) che, come si può dedurre dal nome, vide anche il raggiungimento della massima estensione da parte dei ghiacciai.

Un team di glaciologi, climatologi e geologi delle università di Losanna, Berna e Zurigo, ha messo a punto un modello di simulazione che ci consente di osservare come siano cambiati i ghiacciai delle Alpi nell’arco dell’Olocene e della glaciazione di Wurn. In sintesi hanno ricostruito nel dettaglio 120.000 anni di storia del clima e dell’estensione dei ghiacciai alpini, e reso fruibile il tutto al vasto pubblico attraverso la realizzazione di un video, che vi mostriamo qui di seguito. Le immagini mostrano il comportamento dei ghiacciai in risposta a variare del clima a una velocità difficile da immaginare, pari a 1,5 milioni di anni al secondo. Il lavoro di ricostruzione di millenni di storia glaciale è durato 6 anni e i risultati sono eccezionali. Si tratta attualmente del miglior modello di simulazione della storia dei ghiacciai alpini.

Si è partiti dalla elaborazione di un modello climatico per ricostruire l’andamento di temperature ma anche precipitazioni nell’arco di oltre 100.000 anni. Un processo decisamente complesso, che ha visto gli scienziati sintetizzare una miriade di dati forniti da molteplici fonti, quali carote di ghiaccio prelevate sui ghiacciai, speleotemi (ovvero depositi di minerali reperibili nelle grotte), carote di sedimenti, pollini. E sulla base di tali simulazioni climatiche i glaciologi hanno elaborato un modello del flusso glaciale, in grado cioè di descrivere la dinamica dei ghiacciai, le fasi di accumulo e di fusione, di espansione e riduzione delle superfici. E cosa ci dicono questi due modelli combinati? Che spesso si ha una idea errata di era glaciale.

Nel nostro immaginario l’era glaciale è un periodo caratterizzato da una temperatura costante e decisamente bassa, sotto lo zero o non si chiamerebbe glaciale. In realtà nel corso dei 100.000 anni di un’era glaciale, la temperatura tende a fluttuare. In quella di Wurn si stima che la temperatura media globale fosse di 6°C inferiore all’attuale, ma che nel corso dei millenni abbia subito delle oscillazioni. Si stima in questo lungo lasso di tempo i ghiacciai alpini abbiano affrontato almeno 10 cicli di avanzamento e arretramento in funzione della temperatura, raggiungendo come premesso i valori di massima espansione in corrispondenza del LGM.

Un mondo di ghiaccio nel cuore d’Europa

Attorno a 24.000 anni fa, a quello che abbiamo definito come picco di freddo della glaciazione di Wurn, il clima europeo era fondamentalmente diverso di quello attuale. Le temperature erano più basse, sia in estate che in inverno, e in termini di precipitazioni il clima risultava più secco di oggi. E i ghiacciai risultavano così estesi che potremmo immaginarci le regioni alpine come una sorta di Antartide nel cuore dell’Europa. Il ghiaccio, che raggiungeva spessori vicini al chilometro, ricopriva cime e colline. Città come Berna, Zurigo, Losanna o Monaco, erano coperte dai ghiacci.

Un masso erratico sulle Alpi
Immagine ©UNIL-Sarah Kamleitner

A seguire le temperature hanno iniziato a salire, e conseguentemente le superfici glaciali a ridursi. Ed è iniziato poi l’Olocene, durante il quale, in particolare da 6.500 anni fa ad oggi, le temperature hanno subito un progressivo incremento. Con conseguente progressivo ritiro dei ghiacciai. Tale aumento, 6500 anni fa come oggi, secondo gli scienziati va attribuito in massima parte alle emissioni di gas serra. Emissioni che 6500 anni fa (in epoca pre-industriale) erano ovviamente di molto inferiori a quelle che hanno caratterizzato il periodo successivo alla Rivoluzione industriale, che oggi si tenta di diminuire, nella speranza di rallentare l’innalzamento della temperatura media globale.

Dati paleoclimatici ci dicono che anche in precedenti ere interglaciali si sia assistito a dinamiche simili, a incrementi di temperatura fino al raggiungimento di un valore massimo, seguito poi dall’avvio di una nuova era glaciale. In cosa l’Olocene differisce dal passato? Come sottolineato da Guillaume Jouvet, glaciologo presso la UNIL’s Faculty of Geosciences and Environment e primo autore dello studio, “i cicli passati, causati dalle variazioni orbitali della Terra, non hanno niente a che vedere con ciò che sta accadendo ora, dove i gas serra svolgono un ruolo attivo nella fusione dei ghiacciai. Ciò che più colpisce è la velocità dell’attuale cambiamento climatico (appena pochi decenni) rispetto all’intervallo di tempo infinitamente lungo delle ere glaciali”.

Nonostante ai non addetti ai lavori la simulazione possa risultare degna di un “wow”, gli autori evidenziano che il lavoro sia da considerarsi tutt’altro che perfetto. Un modello di simulazione, come ci insegna il termine stesso, è un tentativo di riproduzione della realtà. Chi ci assicura che sia corretto? Nel caso di un modello di flusso glaciale, le tracce lasciate dai ghiacciai stessi sul territorio. Nel corso del suo ritiro, ogni ghiacciaio lascia infatti dei segni, rappresentati dalle valli glaciali, oggi spesso verdeggianti. O dai massi erratici che dobbiamo immaginare che siano stati spostati nel corso dei millenni dall’avanzare delle lingue glaciali per poi essere abbandonati in fase di ritiro.

O ancora dalle morene glaciali, accumuli di sedimenti trasportati verso valle da un ghiacciaio che, ricordiamolo, è un sistema dinamico, caratterizzato da un accumulo di neve (che si trasforma poi in ghiaccio) a monte, e da un trasporto di massa a quote più basse per effetto di uno scivolamento sul substrato indotto dalla gravità, verso il cosiddetto bacino di ablazione, la parte terminale di un ghiacciaio dove parte del ghiaccio va incontro a fusione.

Torniamo al nostro modello. Gli scienziati sono stati in grado di confermare che la simulazione sia decisamente buona fino al limite di 24.000 anni fa. Per il periodo storico antecedente all’ultimo massimo glaciale non disponiamo infatti di prove su terreno. L’espandersi dei ghiacciai in corrispondenza del LGM ha di fatto cancellato ogni traccia delle 10 oscillazioni verificatesi in 100.000 anni. In sostanza, non possiamo fare altro che fidarci del modello.

Dicevamo dunque che la simulazione risulti molto buona in riferimento agli ultimi 24.000 anni. Molto buona ma non perfetta. Come evidenziato dagli autori, si è stati in grado di raggiungere una massima risoluzione di 2 km, che non è in grado di riprodurre la complessa topografia delle alte montagne, determinando di conseguenza una probabile sovrastima della copertura glaciale. Nei prossimi anni gli scienziati cercheranno di scendere più nel dettaglio, al di sotto del chilometro, se tutto va bene fino a 200 metri di risoluzione. Come? Facendosi aiutare dall’intelligenza artificiale.

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